martedì 7 ottobre 2025
Il ruolo del fondamentalismo religioso nella chiarissima lettura di Recalcati.
Il ritorno del fondamentalismo religioso
Massimo Recalcati
la Repubblica, 3 settembre 2025
Il declino delle religioni è considerato una cifra significativa del nostro tempo. Lo
scientismo da un lato e l’affermazione incontrastata di una concezione edonistica della
vita dall’altro, avrebbero relegato la religione ad una forma di superstizione
oscurantista. Eppure, nel nostro tempo non possiamo non constatare come la religione,
proprio nei suoi aspetti più fondamentalisti, sia ritornata prepotentemente sulla scena.
Al centro non è certamente la dimensione spirituale della religiosità, ma il nesso pre-
illuminista che aveva vincolato strettamente la religione al potere. Quello che ritorna
non è un Dio che scuote e interroga le coscienze, ma il suo rovescio mostruoso: un Dio
ridotto ad essere uno strumento ideologico del potere. È questo il denominatore
comune che unisce figure politiche distanti tra loro quali sono quelle di Donald Trump,
Vladimir Putin, i leader di Hamas, Benjamin Netanyahu e dei suoi ministri che
sostengono il massacro inaccettabile di Gaza insieme alla colonizzazione selvaggia
delle terre palestinesi. In evidenza è il ricorso a Dio come sostengo inossidabile della
politica, della follia della guerra o della propria affermazione personale. Si tratta di un
uso perverso della religione che storicamente non è affatto nuovo. Per questo il luterano
Dietrich Bonhoeffer ricordava criticamente che Gesù non è venuto a chiederci di
aderire ad una nuova religione, ma alla vita.
Il richiamo continuo di Putin ai valori della tradizione e alla fede ortodossa, a Dio come
garante della Santa Madre Russia che benedice i suoi confini e i carri armati
santificando l’annientamento dell’Ucraina nazista e corrotta dall’Occidente, mostra la
religione non tanto come antidoto dell’odio e della violenza ma come un suo
terrificante amplificatore. Trump mobilita un’altra Chiesa: non quella istituzionale, ma
quella dei “patrioti”, degli eletti, dei veri americani. Il suo Make America Great Again
ha i caratteri del mantra religioso, è un appello a un’età dell’oro perduta da
riconquistare. La sua fede è performativa, il suo Dio è colui che lo riconosce
narcisisticamente come esso stesso divino in una sorta di delirio megalomanico a due.
La reazione alla cultura liberal avviene anche in questo caso attraverso la difesa
orgogliosa dei principi fondamentali della tradizione che trovano in Dio il loro
fondamento ultimo. Si tratta di forme di religione, come direbbe Kierkegaard, anti-
spirituali: Putin non invoca Dio per elevarsi spiritualmente, ma per scavare un fossato
tra la “civiltà russa” e l’“Occidente decadente”. La sua, come quella di Trump, è una
religione della purezza etnica e culturale, un’arma identitaria che esige la vittoria sui
nemici. In Medio Oriente, la dinamica è ancora più tragica. I leader di Hamas e
Netanyahu giocano la stessa partita sul corpo straziato dei loro rispettivi popoli. Da una
parte un Islam delirante ridotto ad una ideologia della violenza e della morte, dove il
martirio terrorista viene invocato come l’unica forma di vita degna di essere vissuta
contro l’oppressore: nei loro discorsi i leader di Hamas più che legittimare il diritto alla
resistenza del popolo palestinese inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Dall’altra parte un sionismo trasformato in nazionalismo messianico che trasfigura la
Terra Promessa in una fortezza da difendere mediante l'espansione cruenta e
illegittima, giustificata per diritto divino. In entrambi i casi l’evocazione di Dio
risponde alla finalità perversa di esercitare la violenza della distruzione senza rimorso
in quanto compiuta nel nome del Bene. La fede religiosa qui non pacifica, non unisce,
ma divide e uccide. In questo schema non c’è spazio per il dubbio, per la domanda, per
la parola. Siamo di fronte all’architettura fanatica di un’identità senza alterità,
dell’Uno-tutto che esclude l’incontro con il Due. Il fondamentalismo religioso fornisce
la cornice sacra e inviolabile a questo schema. Dio non è più colui che preserva il
comandamento “Non uccidere”, ma è colui che, in un cortocircuito perverso, legittima
l’uccisione nel suo nome. Non a caso la Bibbia non accusa mai l’ateo, ma solo l’idolatra
poiché conosce bene dove può portare la pretesa religiosa di essere proprietari esclusivi
della verità. Quando Gesù, al termine della tremenda notte del Getsemani, viene
aggredito e arrestato dai soldati e un suo discepolo cerca di difenderlo alzando la spada,
egli interviene interrompendo la lotta, come se dicesse, con grande chiaroveggenza, è
il caso di dire, “nessuna guerra di religione in mio nome!”.
Trump che sovverte le norme democratiche, Putin che perseguita il dissenso interno
rafforzando il proprio potere personale, Netanyahu che mina la Corte Suprema e
scatena una guerra immonda contro un popolo inerme, Hamas che impone, sempre nel
nome di Dio, la sua legge con la violenza, innanzitutto al popolo palestinese. In questa
strana congiuntura storica, la religione non è più, come riteneva a suo tempo Marx,
l’“oppio dei popoli” che alimentando la credenza illusoria in un mondo aldilà del
mondo depotenziava le istanze critiche di cambiamento, ma diviene un combustibile
micidiale che scatena un odio perpetuo. Non serve a pacificare, ma a eccitare, a
mobilitare le masse non verso un ideale di giustizia e di pace, ma verso il godimento
di sentirsi dalla parte giusta della storia, il godimento della distruzione del proprio
nemico umiliato e annientato. È un tunnel senza uscita. Sarebbe invece necessario uno
sforzo collettivo estremo. Lo ammoniva a suo tempo il cardinale Martini: “se ciascun
popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del
risentimento, della rappresaglia, della vendetta”.
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