venerdì 4 settembre 2015

Le immagini sono più forti delle parole

L’immagine del povero bimbo morto in mare ha aperto una gran discussione sui media tradizionali. A parte l’usuale ritardo rispetto alla rete (le immagini avevano già fatto il giro del mondo il giorno prima) il discorso è interessante e anche importante. Difficile da fare in breve su FB, ma ci provo.
Le immagini hanno più forza delle parole per diverse ragioni, sia psicofisiche (maggior “accesso” a livelli profondi) che culturali (l’immagine, al contrario delle parole, non può essere confutata).
Per questo io credo che siano le immagini a segnare gli episodi della recente storia del mondo e la percezione istintiva e profonda che abbiamo di essi (non servono esempi, credo) . Per questo bisogna averne rispetto e cautela nella loro diffusione o censura.
La mia opinione sulla linea discriminante minima è abbastanza semplice: non si devono in nessun caso pubblicare immagini funzionali alla propaganda. Ad esempio Isis ha da tempo messo in atto una strategia di comunicazione finalizzata a diffondere il terrore in occidente e al reclutamento di nuovi combattenti. Pubblicare i loro prodotti (foto e video) significa contribuire alla diffusione della guerra.
Questo è il discrimine minimo, ma anche l’unico certo. Altri se ne possono aggiungere: ad esempio immagini di sangue spesso sbattute in primo piano per qualche click o qualche copia in più, come l’assassinio dei due giornalisti in Virginia trasmesso alla leggera (e secondo me sbagliando) dalle nostre testate principali (e non da BBC, Le Monde, Guardian, NYT, Washington Post, El Pais, ecc.).
Ma si tratta di scelte che vanno compiute di volta in volta, magari motivandole, con attenzione e rispetto per le immagini e consapevolezza.
Questo non avviene spesso, anzi, e forse le immagini del povero bimbo Aylan saranno servite anche a questo. Grazie a Nilufer Demir, la fotografa turca che le ha fatte e proposte al mondo.

venerdì 28 agosto 2015

Letture estive 2015


Letture estive – 1: “Numero zero” di Umberto Eco.
Un romanzo breve (200 pagine per Eco son pochissime) che, prendendo a pretesto le Milano del 1992 (quella di “Mani pulite”) racconta il disastro del giornalismo d’informazione dei nostri giorni: un’idea di giornale cialtrone che nella testa dell’editore non vedrà mai la luce, ma che riunisce una redazione di ignari collaboratori, intorno ai quali si sviluppa la vicenda.
Il mio giudizio sul mondo dell’informazione nostrano è molto severo, e mi fa piacere trovarmi in compagnia del grande Umberto Eco che evidentemente parla ai lettori di oggi, mettendoli in guardia dal prendere sul serio le notizie e chi le racconta (sia attraverso i media tradizionali che, oggi, attraverso la rete, come testimoniano le recenti dichiarazioni del professore).
La lettura è piacevole, lo humor non manca, le citazioni sono al solito numerose e raffinate anche se il ritmo della storia sconta un po’, a mio parere, l’intento “pedagogico”. Non siamo, per capirci, nei dintorni di capolavori come “Il pendolo di Foucault”.
E’ comunque una lettura che ho apprezzato e che consiglio, riconoscendo a Eco, anche nella sua versione narrativa, il consueto impegno nel promuovere cultura e consapevolezza. Non dimentichiamo che parliamo di un testimone importante del nostro Paese: questo libro, come tutti i suoi, sarà tradotto e distribuito in decine di paesi in tutto il mondo, e un libro che svela i meccanismi del cattivo giornalismo è un buon segnale per l’Italia, stabilmente piazzata agli ultimi posti per la libertà di stampa.

Letture estive – 2: “Città aperta” di Teju Cole
Un libro che avevo in lista dallo scorso anno e che mi incuriosiva per le buone recensioni e per il profilo del giovane autore, che è anche fotografo, di madre tedesca e padre nigeriano, cresciuto in Nigeria alla scuola militare e arrivato adolescente negli Stati Uniti.
Si tratta delle riflessioni di Julius, il protagonista, studente di psicologia che vaga per le strade di New York tracciando piccole storie, ritratti di persone e luoghi, con una visione particolare, distaccata e a volte un po’ allucinata. Tratta la megalopoli come una serie di cittadine di provincia, abitate da gruppi a sé stanti; di nessuno di questi Julius si sente parte, sebbene nessun ambiente o personaggio si presenti in modo minaccioso, tutt’altro. Eppure Julius non è mai coinvolto pienamente, vive in un suo mando, dal quale ci invia microstorie che non mancano di qualità narrativa e suggestione.
Una lettura complessa, che non consiglierei proprio a tutti: bisogna aver voglia di entrare in questo mondo un po’ astratto, senza alcuna speranza di trovare una vicenda compiuta, una storia finita… passeggiare per le strade di new York a fianco di Julius, seguirne il filo dei pensieri può essere suggestivo ma anche faticoso.

Letture estive – 3: “I giorni dell’eternità” di Ken Follett
Ho finalmente completato la monumentale trilogia del ‘900 del grande maestro, un’opera davvero imponente (circa tremila pagine in tutto) che racconta il mondo contemporaneo attraverso le vicende di cinque dinastie di diversi paesi - una americana, una tedesca, una russa, una inglese e una gallese - le cui storie si intrecciano lungo tutto il secolo scorso e fino ai giorni nostri.
Quest’ultimo tomo riparte dagli anni ’60, con la presidenza Kennedy e le lotte antirazziste negli USA, l’Europa in piena guerra fredda e l’Unione sovietica a fare i conti con il post stalinismo.
I rischi di un’opera di questa entità sono secondo me due: il primo di farne un trattato storico, dato che le vicende più importanti sono puntualmente citate; il secondo di perdersi nella complessità e nel gran numero di personaggi, vicende e ambienti che si susseguono, entrando e uscendo di scena. Follett evita entrambi i rischi con straordinaria abilità: le vicende vedono sempre al centro i personaggi che le interpretano a più voci attraverso i loro sentimenti e i meccanismi di identificazione del lettore non scadono mai, nessun personaggio è lasciato a metà ed ognuno conserva la propria identità e credibilità.
Non credo che molti altri autori sarebbero stati in grado di concepire e portare a termine una saga di questo genere ma Follett è unico. La trilogia del ‘900 (i primi due sono “La caduta dei giganti” e “L’inverno del mondo”) si piazza a pieno titolo accanto ai suoi grandi romanzi storici, “I pilastri della terra” e “Mondo senza fine” (di cui conservo copia autografata). Consigliatissimo anche per i figli: se amano la lettura direi che non c’è modo più divertente di studiare la storia di un’epoca spesso trascurata dai programmi scolastici.

Letture estive – 4: “Il cacciatore del buio” di Donato Carrisi
Carrisi è esploso nel 2009 con “Il suggeritore”, prima opera ed a mio parere uno dei più bei romanzi di autore italiano degli ultimi anni. Da allora non ho più mollato il bravo ed eclettico Carrisi (scrittore, criminologo, sceneggiatore e giornalista) giunto a questo suo quinto lavoro, che è il secondo che vede protagonista Marcus, il prete “penitenziere” senza memoria de “Il tribunale delle anime”, che ha la capacità di scovare le anomalie ed i fili della follia omicida.
L’abilità di Carrisi di inchiodare il lettore, di spingerlo a condividere le speranza e le paura dei protagonisti è ampiamente confermata anche in questo libro, che è opportuno leggere dopo il precedente.
Lettura consigliata per gli amanti del genere, anche se non siamo alle vette, forse inarrivabili, della prima opera.

Letture estive – 5: “Breaking news” di Frank Schatzing
Schatzing l’ho conosciuto con “l diavolo nella cattedrale” (il Medioevo è il mio pane narrativo), ma la rivelazione è stato ovviamente “Il quinto giorno”, un libro impegnativo (oltre mille pagine) e davvero geniale, coinvolgente e ben supportato da un solido impianto scientifico, che mi ha fatto sperare in un nuovo Crichton. Da allora leggo ogni suo libro, e anche quest’ultimo ha riservato buone sensazioni, anche se un po’ controverse. Si tratta di due vicende separate: da una parte la nascita di Israele e la vita di Ariel Sharon e di alcuni suoi coetanei che hanno costruito lo Stato ebraico; dall’altra la vicenda attuale di un giornalista che si ritrova per le mani documenti segreti sulla morte del leader e nuove minacce fondamentaliste. Insomma storia e spy story.
Lavoro complesso dal quale Schatzing esce in modo incompiuto. La parte storica funziona ed anzi mi ha dato uno spaccato molto interessante della storia del movimento sionista, la parte che vede protagonista il reporter Tom Hagen si trascina un po’ lungo le oltre mille pagine del libro (anche con uno stile narrativo discutibile) per decollare solo nel finale, dove finalmente il ritmo sale e conduce ad un finale classico e ben narrato. Insomma un libro che mi ha soddisfatto solo in parte, anche perché l’eclettico Frank ha già dimostrato di poter fare di meglio.