venerdì 25 febbraio 2011

Libia. Quello che penso io.

Le dimensioni: stiamo parlando di qualcosa di peggio di Tienanmen, di peggio della Birmania, lì si contarono migliaia di morti, oggi, alle porte di casa nostra, si parla di decine di migliaia di vittime civili.

L’Onu: denuncia ancora una volta l’inadeguatezza a misurarsi con questi disastri. Siamo allo stesso punto di Sarajevo (anni ’90). Io avevo risolto i miei dubbi allora (e non fu facile) dichiarandomi d’accordo con Alex Langer, che auspicava un intervento per scopi umanitari, un intervento armato. Ci sono dei rischi, ovvio, ma credo che i rischi maggiori si corrano lasciando che le stragi si compiano senza far nulla.

L’Italia: quanto a credibilità internazionale siamo messi male in generale. Su questa tragedia siamo messi molto peggio. Basta pensare alle figure di m…a del Berlusca con Gheddafi, ma peggio ancora al fatto che le armi che uccidono migliaia di manifestanti sono (soprattutto) roba nostra. Abbiamo, in questa vicenda, dei doveri e al tempo stesso delle opportunità, particolari; per motivi storici, geografici ed economici. E invece stiamo a zero. Nessuna iniziativa propositiva, solo lamenti sui rischi di fondamentalismo islamico (immotivati, perché da queste rivoluzioni i fanatici religiosi sono i primi sconfitti, ma soprattutto inutili), propaganda su previste di migrazioni bibliche (anche questa inutile).

Che fare: dovremmo essere i primi ad appoggiare la lotta di liberazione e dovremmo essere i primi ad arrivare lì: ad aiutare a curare i feriti in un ospedale, ad allestire una cucina da campo per i civili nelle città liberate. Ci vorrà il tempo necessario per gli accordi, la logistica, gli altri Paesi, ma almeno annunciamo volontà e progetti di interventi umanitari e ben protetti dall’esercito. Credo che sia uno dei pochi motivi plausibili per cui spendiamo ogni anno decine di milioni di Euro per la difesa.
Dovremmo essere lì anche per affermare che gli ideali di democrazia, solidarietà, giustizia per cui si battono i popoli del nord africa oggi sono gli stessi su cui è nata qualche secolo fa la vecchia e decadente Europa, ma sono vivi e forti. Su questo si gioca il futuro di quei popoli e, siccome il Mediterraneo è un piccolo mare, anche il futuro dell’Italia.

Per chi vuole andare avanti sul ragionamento metto qualche spunto:
il punto di vista di Gad, e di Leonardo, un’analisi su Repubblica e la testimonianza di Farid di RadioPop (anzi di suo nipote in Libia).
Se trovate qualcosa di interessante fate girare.

1 commento: