sabato 25 febbraio 2023
Elezioni in Lombardia – Sulla divaricazione tra centri urbani e provincia
E’ questo un secondo argomento di riflessione sulla crisi della democrazia a partire dai dati delle elezioni regionali.
Non è un tema nuovo, se ne parla da parecchi anni, non è un tema solo nazionale perché riguarda tutte le democrazie rappresentative occidentali (non conosco i dati di realtà non occidentali), ma è un tema importante e interessante, perché un sistema istituzionale che non riesce ad affrontare queste spaccature sociali rischia di saltare.
Partiamo da noi e dai dati che ben conosciamo. Nella tornata elettorale regionale del 2023 i risultati sono:
Fontana 1.774.477 pari al 54,67%
Majorino 1.101.417 pari al 33,93%
Vediamo come è andata invece nelle principali città.
Comune di Milano :
Fontana 160.781 pari al 37,69%
Majorino 199.760 pari al 46,83%
Comune di Bergamo:
Fontana 29.682 pari al 41,29%
Majorino 31.473 pari al 44,28%
Comune di Brescia:
Fontana 29.682 pari al 43,46%
Majorino 31.473 pari al 46,09%
Come si vede, nelle maggiori città lombarde l’esito del voto è stato l’opposto di quello generale, e il voto progressista è stato ampiamente maggioritario. E’ un trend ormai abbastanza consolidato: la curva dei consensi “progressisti” cresce di pari passo con la popolazione, dai minimi nelle comunità sotto ai 5mila abitanti a massimi nelle città sopra i 300mila.
Lo stesso destino che è capitato in Gran Bretagna a Londra in occasione di Brexit, in USA a New York o San Francisco, in Francia a Parigi, in Danimarca a Copenaghen… insomma dovunque.
Il caso lombardo fa piazza pulita anche delle risposte semplicistiche (come sempre non esistono risposte semplici a problemi complessi) tipo “le città dei ricchi” ecc., perché quando parliamo della “provincia lombarda” parliamo di zone dove i redditi medi viaggiano su valori ben superiori alla media nazionale, con un Pil pro capite stimato a oltre 35.000 euro annui.
Come dice il politologo Roberto Biorcio, tra gli studiosi più attenti al tema «Può sembrare paradossale, ma proprio in regioni ricche e con pochi migranti si tende a chiedere più chiusura. Nel Nord conta l'aspetto di difesa del proprio benessere».
Io propongo anche una lettura sociologica: sembra quasi che in situazioni di scarso scambio relazionale e minori stimoli culturali, come può accadere nei piccoli centri, prevalga la paura nei confronti del “nuovo” e il timore che questo proponga nuove inquietanti “presenze” (immigrati), o porti via i figli, fuori dal “rifugio”, alla ricerca di altro.
E poi il senso di inadeguatezza al confronto politico, la distanza percepita dai centri decisionali e la conseguente delega al solito politico locale di turno, visto come “garante” del benessere acquisito e del flusso di capitali pubblici e delle consuete promesse di misure fiscali favorevoli (spesso mantenute).
A differenza di altri paesi come gli USA (con i fanatici trumpiani all’assalto del parlamento) o la Francia (con i gilet gialli), dalla ricca provincia lombarda non sembrano emergere fenomeni di ribellione o segnali di rivolta violenta, piuttosto un tentativo di chiudersi nelle proprie consolidate certezze, nella proprie roccaforti, magari covando un po’ di insofferenze verso le «élite» delle città.
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