martedì 7 ottobre 2025

Volontari per Gaza vs volontari per l'Ucraina

La insistenza che propone su giornali e social questa pretestuosa contrapposizione mi ha fatto pensare. Perché tanta partecipazione per la Flottilla e non per Kiev? Ho cercato alcune risposte che vi propongo: - l'avversione per Netanyahu non è molto diversa da quella per Putin, è diversa l'empatia per la popolazione di Gaza e questo lo spiego con la "doppia oppressione" che subisce: dai fondamentalisti di Hamas e dall'esercito israeliano; - un'altro elemento di differenza è che gli ucraini sono comunque difesi da un esercito regolare che combatte contro l'invasore, mentre i palestinesi subiscono i bombardamenti senza alcuna possibilità di replica o resistenza: un crudele di tiro al bersaglio su gente inerme. - l'ultimo elemento riguarda il governo italiano: la gente in piazza manifesta contro l'immobilismo nei confronti del governo di Netanyahu, mentre nei confronti di Putin la postura è ben diversa: la Russia è sottoposta a sanzioni, le sue bandiere non compaiono nelle competizioni sportive, gli aiuti all'Ucraina non sono in discussione, in Italia come in Europa. Io ho individuato queste situazioni diverse tra i due scenari di guerra, che aiutano a capire le diverse sensibilità delle piazze, senza che debbano essere inventate pretestuose contrapposizioni. Chiudo infine ricordando le altre guerre, dal Sudan al Congo al Corno d'Africa. Ma qui la spiegazione è più semplice: per il mainstream e i social di casa nostra, l'Africa semplicemente non esiste.

Anniversario del 7 ottobre

Questa immagine del 7 ottobre per me è bellissima e emblematica. La giovane israeliana che fugge non solo dai tagliagole, ma idealmente anche dall'oppressione dell'apartheid e della guerra. La immagino affiancata nella stessa idea di fuga da una giovane ragazza palestinese.

Milano da amare

La scorsa settimana "La Lettura" del Corriere della sera ha dato voce a tre giovani scrittori che hanno da poco pubblicato i loro romanzi ambientati a Milano. Il tema della conversazione era proprio Milano, se ne sta parlando molto in questi giorni e loro osservazioni danno uno spaccato efficace della percezione della nostra città. Ne riporto alcuni stralci. Loro sono Alice Valeria Oliveri, Pietro Santetti e Fabrizio Sinisi. Alice Valeria Oliveri "...stavo ambientando a Roma il romanzo ma a un certo punto mi sono bloccata e mi sono detta "No. Io lo devo portare a Milano". Accade secondo me perché Milano è molto più stimolante come luogo, se si vuole scrivere della contemporaneità. È una città in cui succedono tante cose." " Milano, a differenza di altre città e un luogo dove molta gente viene da fuori Qui, si creano comunità solidali, frequentate da persone che abitano un luogo e una casa diversi da quelli di nascita." Pietro Santetti "Milano perché è lì che si sogna di realizzare le proprie ambizioni in un luogo in cui essere se stessi senza troppi giudizi bigotti. Milano che è un incubatrice di tante storie incredibili." "Credo che il perenne cambiamento e aggiornamento di Milano verso il futuro e la modernità faccia parte della sua natura. Si reinventa sempre va sempre avanti. Va sempre veloce. " "A Milano ci sono concerti ed eventi, è sempre affascinante, soprattutto per la gente che ci vive, che è lì perché ha un obiettivo, perché è brillante, perché vuole realizzare delle cose, quindi è molto stimolante. Milano è bella per quello che ha da offrire." Fabrizio Sinisi "Milano è uno scenario brutto, per molti aspetti neutro, ma che a differenza di città che hanno un paesaggio culturale storico monumentale molto forte ti consente di proiettare più cose. Ti concede possibilità visionarie." "Milano è la città in cui più che in ogni altra hai l'impressione di poter diventare quello che vuoi. Uno scenario che dà ai personaggi illusione più o meno vera di potersi trasformare." "Milano perché la maggior parte di grandi movimenti di cambiamento e di trasformazione della società sono cominciati a Milano, dall'illuminismo francese al Risorgimento al fascismo al berlusconismo. Tutti i grandi movimenti di trasformazione antropologica culturale politica di questo paese hanno avuto la loro incubatrice in questa città." "Milano prefigura cose che poi succedono anni dopo nel resto del paese è il luogo in cui si manifesta per primo qualcosa di sotterraneo." Punti di vista di giovani dai quali interpretare Milano, continuare ad amarla e a cercare di migliorarla.

La comunicazione dell'estrema destra.

Una strategia di comunicazione coordinata e globale. Un coordinamento mondiale che è un grande problema per i progressisti (che continuano a coltivare con passione divisioni e polemiche interne), che non sono attrezzati per competere su questo piano. Un articolo di "Valigia blu" spiega bene quanto le strategie ispirate da Steve Bannon e altri abbiano preso piede. "Tutti i leader di estrema destra – da Orbán a Le Pen, passando per Giorgia Meloni, nessuno escluso – hanno cercato di capitalizzare il potenziale propagandistico dell'omicidio dell'attivista d’estrema destra statunitense per attribuire alla “sinistra” tutta la violenza politica e chiedere di far giustizia una volta per tutte dei nemici ideologici. - “Dobbiamo fermare la sinistra che incita all'odio!”, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orbán, noto per le sue politiche illiberali nei confronti di oppositori politici e delle fasce più fragili della società. - Per André Ventura, del partito portoghese Chega, “il dibattito sulle idee” ha lasciato il posto all'“odio, alla persecuzione e all'omicidio”. - Santiago Abascal, del partito spagnolo Vox, è andato oltre. Durante un raduno di estrema destra a Madrid, nel corso del quale è stato proiettato un video tributo per Kirk, Abascal ha detto che la sinistra “non ci uccide perché siamo fascisti, ma ci definisce fascisti per ucciderci. La censura non gli basta, quindi ricorrono all'omicidio”. - Per Jordan Bardella, del partito di estrema destra francese Rassemblement National (RN), “la retorica disumanizzante della sinistra e la sua intolleranza [...] alimentano la violenza politica”. - Alice Weidel dell'AfD tedesco ha affermato che Kirk è stato ucciso da “un fanatico che odia il nostro modo di vivere”.

Flottilla per Gaza.

Questa la composizione della missione per nazionalità. Arrivano da ogni parte del mondo, dall'Europa le delegazioni più numerose da Spagna, Italia e Grecia. Forza ragazzi, coraggio e massima prudenza

Milano e San Siro

A differenza di molti amici non mi sono appassionato granché alla vicenda della vendita dello stadio. - Un po' perché non ci sono affezionato a quello stadio mastodontico, contro il quale come Verdi ci eravamo battuti strenuamente alla fine degli anni '80; - un po' perché l'area interessata non è certo il Duomo o il Parco sud, non c'è nulla da salvaguardare (stadio e asfalto), anzi è proprio una schifezza (vedi immagine); - un po' perché non ritengo che lo stadio sia un bene primario che deve restare di proprietà comunale (facendosi carico dei costi di ristrutturazione) ma che è giusto che sia costruito e gestito dalle squadre, che ne sono gli utilizzatori (infatti fu costruito dal presidente del Milan, su terreni di proprietà). Insomma non è certo questa che avrebbe dovuto essere la "madre di tutte le battaglie" per gli ecologisti. Credo poi che la questione si sia incanalata in un mood di nostalgismo conservatore (recente tratto caratteristico della sinistra milanese), ripicca politica, clima da inchieste della procura, ecc. che non ha contribuito alla chiarezza della discussione. Con questo non voglio dire che non sarebbe stato possibile rimettere a nuovo il vecchio stadio come ha fatto a Madrid il Real. Semplicemente le squadre non erano d'accordo, e il comune, esperiti tutti i tentativi, ha fatto bene a non farsi carico dell'enorme investimento. Ora che, dopo un notevole lavoro dei consiglieri comunali, l'iter di vendita è concluso, logica vorrebbe che si ponga l'attenzione sulla qualità dei progetti (vedi l'immaginifico rendering), sul come impiegare al meglio i 200mln ricavati dalla vendita e gli altri degli onori di urbanizzazione, ecc. Insomma guardando avanti. Speriamo, ma senza troppe illusioni: in Italia ben sappiamo che qualche "Tar del Lazio" (o corte dei conti, o procura, o consiglio di stato, o chissachealtro) è sempre pronta a intervenire, specie se possono saltare fuori dei bei titoloni sui giornali... Vedremo.

L'epoca dei "lagnosi"

Nella sua newsletter settimanale Michele Serra espone, con la consueta chiarezza, un pensiero che da un po' di tempo mi trovo a rimuginare: I progressisti in occidente hanno perso la fiducia nel progresso e l'ottimismo nel futuro. La mia sinistra è tutt'altro: spirito gioioso, di tolleranza e comunanza, condivisione e felicità. Ecco come la racconta Serra: "In Occidente questa è l’epoca della lagna. Una specie di postura obbligatoria. Pare di capire che l’usanza di lagnarsi, di considerarsi vittime di questo e di quello, di misurare il proprio grado di intelligenza e di sensibilità con il metro del malessere (“solo i cretini possono essere felici”), sia diventata una forma dilagante di conformismo. Non conosco nessuno che mi abbia detto, recentemente, “mi sento felice”". Cari amici sveglia! È ora di guardare al futuro e tornare ad essere felici (bisogna allenarsi, non è scontato).

Gli USA di Trump: fondamentalismo religioso e politica

Un articolo approfondito sullo stretto collegamento tra fondamentalismo religioso e politica, che risale a molto tempo fa ma che ha assunto nuove forme oggi, nel tempo di Trump. https://www.linkiesta.it/2025/09/charlie-kirk-evangelici-religione-chiesa-cristiani-stat-uniti-america/?fbclid=IwY2xjawNSDyJleHRuA2FlbQIxMQABHnGYWaB9WxiB-iyfnD0CDWfDqjYY5JELIpZ3tgQJfQroWXdhckmoMkoFzTap_aem_UEy5sE-dF2o26WqIq_avWA

Nazioni Unite al tempo di Trump

L'ultima riunione dell'ONU ha garantito un po' di show, ma la situazione non è facile. Cerco di spiegarlo con le parole del NYT. Dal ritorno del Presidente Trump alla Casa Bianca gli Stati Uniti hanno ridotto i finanziamenti e la presenza alle Nazioni Unite. Mara Hvistendahl, giornalista investigativa, spiega come nazioni autoritarie come Cina e Iran stiano approfittando del ritiro degli Stati Uniti. Gli ambasciatori di Cina e Cuba hanno avanzato l'ipotesi che il consiglio limiti le indagini su abusi come la tortura, i crimini di guerra e l'incarcerazione dei dissidenti, mentre Cina e Cuba, insieme a Iran, Russia e Venezuela, hanno ripetutamente suggerito di ridurre le indagini sui diritti umani. Le Nazioni Unite sono in crisi, ma dobbiamo avere ben presente che sono tutto ciò che abbiamo per arginare la deriva verso un mondo dominato dalla forza bruta e da dittature e autocrazie. Le Nazioni Unite vanno difese.

Riforma della giustizia

Luigi Marattin ci offre un ottimo "recupero di memoria" sulla riforma "Pisapia-Vassalli" del 1988 rimasta incompiuta. Utile ripasso, che tra qualche mese, forse, ci potrebbe essere il referendum. La separazione delle carriere dei magistrati era prevista già nel 1988, quando in Italia ci fu la riforma del codice di procedura penale: si passò da modello “inquisitorio” - quello in cui il giudice è parte attiva nelle indagini - a modello “accusatorio”, in cui il giudice è terzo. Una riforma, tra l’altro, approvata in maniera trasversale da tutte le forze politiche. Prevedere due percorsi di carriera autonomi e indipendenti, quindi, per pubblici ministeri e giudici era la naturale conseguenza di quella riforma del 1988: se facevano mestieri diversi, era normale che avessero percorsi di carriera diversi. Sempre salvaguardando la sacra indipendenza del potere giudiziario dagli altri due (esecutivo e legislativo). In quegli anni non si registravano particolari contrarietà a questa mossa: sono note le opinioni di Giovanni Falcone in merito, così come di tantissimi altri. E anche sul piano politico non c’erano problemi : il progetto di riforma costituzionale bipartisan elaborato dalla Commissione Bicamerale negli Anni Novanta (quella presieduta da Massimo D’Alema) prevedeva la separazione delle carriere. La sinistra, infatti, non aveva mai avuto particolari dubbi in proposito. Poi qualcosa è cambiato. Cosa? Il potere giudiziario è stata ricompreso a pieno titolo nell’alveo della lotta politica. Man mano che gli altri due poteri (esecutivo e legislativo) perdevano progressivamente competenza e autorevolezza - demoliti da una politica che si stava trasformando in televendita fatta di partiti personali e adoranti yes-men o yes-women - il terzo potere dello Stato (quello giudiziario) volente o nolente ha iniziato a riempire quel vuoto. Spesso aiutato dall’intreccio con parte di quello che viene definito “quarto potere”: l’informazione. O dallo stesso potere politico, che avendo accettato la propria subalternità si affidava allo strumento giudiziario (coadiuvato dalla grancassa dell’informazione) per indebolire o eliminare l’avversario politico. E a quel punto, tutto è precipitato. Ogni azione di riforma del potere giudiziario - anche se largamente prevista come la separazione delle carriere - non è stata più vista come modalità di affinare la fornitura di un bene pubblico fondamentale (la giustizia), ma come parte di una lotta di potere. Come se ne esce? Il primo passo per risolvere i problemi è sempre riconoscerli. Quanto sarebbe diverso questo Paese se, almeno, avessimo il coraggio di dirci chiaramente - e in maniera condivisa - che cosa è successo realmente in questo paese.

Comuni e politiche abitative

Case popolari Aler Non si parla di Milano ma di Bollate, ma questa notizia spiega con le cifre perché è difficile assegnare le case popolari vuote. Si parla di un investimento di 10mln per 72 alloggi. Sono 140.000 € per appartamento. Per quelli già consegnati addirittura di 5,2mln per 24 alloggi. Sono 217.000 € per appartamento! E si parla di "riqualificazione degli edifici attraverso lavori di efficientamento e messa in sicurezza: coperture, impianti, nuovi ascensori e tinteggiature" Una follia. Si spenderebbe meno a ricostruire tutto da zero. Qui ha finanziato la Regione (Aler), ma come fa un comune a sistemare le case di proprietà sfitte a questi costi? Come fa un comune. a pensare a un piano di costruzione di case popolari a questi costi? Come spiega Giovanni Semi, professore di Sociologia dell'università di Torino: oggi il massimo che un singolo comune può fare "...è dare un'immagine migliore alla città, creare rapporti con le società immobiliari e agevolare gli investimenti».

Sulla comunicazione politica sovranista

Dopo l'omicidio di Kirk abbiamo assistito ad una azione di comunicazione coordinata a mio parere molto significativa. Partita immediatamente dalla Casa bianca e rapidamente ripresa a livello globale dai leader delle destre usando lo stesso modello e le stesse parole: attacchi e minacce agli avversari politici, accuse di violenze, ecc. Anche in Italia Meloni non si è sottratta ed ha parlato di violenza della sinistra. Il tutto senza alcun riscontro. Né in USA, dove violenze e sparatorie avvengono a getto continuo da ogni parte (l'Economist col suo consueto stile fa notare che "...studi e dati disponibili suggeriscono che l'uccisione del signor Kirk non è rappresentativa di tendenze più ampie), né tanto meno in Italia. Ma ciò che mi interessa di più è il coordinamento internazionale del messaggio. Mi viene in mente che Steve Bannon già nel 2018 girava per le destre sovraniste d'Europa con la sua fondazione The Movement, per formare un coordinamento dei partiti sovranisti in Europa. In questa strategia di comunicazione comune mi sembra di notare la mano del vecchio "stratega", già a capo di "Cambridge Analytica" (quella che fece la campagna elettorale di Donald Trump utilizzando dati di utenti Facebook ottenuti illegalmente) e poi membro del Consiglio di sicurezza USA. Mi sa che quei viaggi europei stanno dando frutti. Ne parla anche Jason Horowitz del New York Times: "... nel 2019 Steve Bannon, l'allora ideologo interno del presidente Trump, viaggiò per le capitali europee nel tentativo di unire l'estrema destra..." "... l'ecosistema di destra è già diventato più allineato. E questo è il risultato dei social media e dell'immediatezza di X, Instagram e YouTube. Ma riflette anche qualcosa di più mirato: una strategia di questi partiti per avvicinarsi. Si impegnano a parlare ai comizi degli altri. Condividono gli stessi problemi e la stessa mitologia politicamente utile della vittimizzazione."

Settembre 2025, MiIano c'è

Giovedì 10mila in piazza per la Flottilla per Gaza, sabato migliaia per salutare Giorgio Armani mentre decine di migliaia sfilano alla manifestazione per il Leonka e la difesa degli spazi sociali. Gente di ogni età (molti giovani) ed estrazione sociale, gente di tutti i colori, gente famosa e gente comune. Poi qualche "giornalista" e qualcuno sui social va raccontando di una città in crisi, in decadenza (ah... i bei tempi andati)... Milano invece va avanti, come sempre, con le sue mille facce e mille appartenenze. La diversità, la tolleranza, la generosità come caratteristiche base. Milano è questa ed è sempre stata questo: un universo in continuo movimento e trasformazione. Milano è la mia città.

Il ruolo del fondamentalismo religioso nella chiarissima lettura di Recalcati.

Il ritorno del fondamentalismo religioso Massimo Recalcati la Repubblica, 3 settembre 2025 Il declino delle religioni è considerato una cifra significativa del nostro tempo. Lo scientismo da un lato e l’affermazione incontrastata di una concezione edonistica della vita dall’altro, avrebbero relegato la religione ad una forma di superstizione oscurantista. Eppure, nel nostro tempo non possiamo non constatare come la religione, proprio nei suoi aspetti più fondamentalisti, sia ritornata prepotentemente sulla scena. Al centro non è certamente la dimensione spirituale della religiosità, ma il nesso pre- illuminista che aveva vincolato strettamente la religione al potere. Quello che ritorna non è un Dio che scuote e interroga le coscienze, ma il suo rovescio mostruoso: un Dio ridotto ad essere uno strumento ideologico del potere. È questo il denominatore comune che unisce figure politiche distanti tra loro quali sono quelle di Donald Trump, Vladimir Putin, i leader di Hamas, Benjamin Netanyahu e dei suoi ministri che sostengono il massacro inaccettabile di Gaza insieme alla colonizzazione selvaggia delle terre palestinesi. In evidenza è il ricorso a Dio come sostengo inossidabile della politica, della follia della guerra o della propria affermazione personale. Si tratta di un uso perverso della religione che storicamente non è affatto nuovo. Per questo il luterano Dietrich Bonhoeffer ricordava criticamente che Gesù non è venuto a chiederci di aderire ad una nuova religione, ma alla vita. Il richiamo continuo di Putin ai valori della tradizione e alla fede ortodossa, a Dio come garante della Santa Madre Russia che benedice i suoi confini e i carri armati santificando l’annientamento dell’Ucraina nazista e corrotta dall’Occidente, mostra la religione non tanto come antidoto dell’odio e della violenza ma come un suo terrificante amplificatore. Trump mobilita un’altra Chiesa: non quella istituzionale, ma quella dei “patrioti”, degli eletti, dei veri americani. Il suo Make America Great Again ha i caratteri del mantra religioso, è un appello a un’età dell’oro perduta da riconquistare. La sua fede è performativa, il suo Dio è colui che lo riconosce narcisisticamente come esso stesso divino in una sorta di delirio megalomanico a due. La reazione alla cultura liberal avviene anche in questo caso attraverso la difesa orgogliosa dei principi fondamentali della tradizione che trovano in Dio il loro fondamento ultimo. Si tratta di forme di religione, come direbbe Kierkegaard, anti- spirituali: Putin non invoca Dio per elevarsi spiritualmente, ma per scavare un fossato tra la “civiltà russa” e l’“Occidente decadente”. La sua, come quella di Trump, è una religione della purezza etnica e culturale, un’arma identitaria che esige la vittoria sui nemici. In Medio Oriente, la dinamica è ancora più tragica. I leader di Hamas e Netanyahu giocano la stessa partita sul corpo straziato dei loro rispettivi popoli. Da una parte un Islam delirante ridotto ad una ideologia della violenza e della morte, dove il martirio terrorista viene invocato come l’unica forma di vita degna di essere vissuta contro l’oppressore: nei loro discorsi i leader di Hamas più che legittimare il diritto alla resistenza del popolo palestinese inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele. Dall’altra parte un sionismo trasformato in nazionalismo messianico che trasfigura la Terra Promessa in una fortezza da difendere mediante l'espansione cruenta e illegittima, giustificata per diritto divino. In entrambi i casi l’evocazione di Dio risponde alla finalità perversa di esercitare la violenza della distruzione senza rimorso in quanto compiuta nel nome del Bene. La fede religiosa qui non pacifica, non unisce, ma divide e uccide. In questo schema non c’è spazio per il dubbio, per la domanda, per la parola. Siamo di fronte all’architettura fanatica di un’identità senza alterità, dell’Uno-tutto che esclude l’incontro con il Due. Il fondamentalismo religioso fornisce la cornice sacra e inviolabile a questo schema. Dio non è più colui che preserva il comandamento “Non uccidere”, ma è colui che, in un cortocircuito perverso, legittima l’uccisione nel suo nome. Non a caso la Bibbia non accusa mai l’ateo, ma solo l’idolatra poiché conosce bene dove può portare la pretesa religiosa di essere proprietari esclusivi della verità. Quando Gesù, al termine della tremenda notte del Getsemani, viene aggredito e arrestato dai soldati e un suo discepolo cerca di difenderlo alzando la spada, egli interviene interrompendo la lotta, come se dicesse, con grande chiaroveggenza, è il caso di dire, “nessuna guerra di religione in mio nome!”. Trump che sovverte le norme democratiche, Putin che perseguita il dissenso interno rafforzando il proprio potere personale, Netanyahu che mina la Corte Suprema e scatena una guerra immonda contro un popolo inerme, Hamas che impone, sempre nel nome di Dio, la sua legge con la violenza, innanzitutto al popolo palestinese. In questa strana congiuntura storica, la religione non è più, come riteneva a suo tempo Marx, l’“oppio dei popoli” che alimentando la credenza illusoria in un mondo aldilà del mondo depotenziava le istanze critiche di cambiamento, ma diviene un combustibile micidiale che scatena un odio perpetuo. Non serve a pacificare, ma a eccitare, a mobilitare le masse non verso un ideale di giustizia e di pace, ma verso il godimento di sentirsi dalla parte giusta della storia, il godimento della distruzione del proprio nemico umiliato e annientato. È un tunnel senza uscita. Sarebbe invece necessario uno sforzo collettivo estremo. Lo ammoniva a suo tempo il cardinale Martini: “se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta”.

Italia e povertà educativa

Nel 2024 l’Italia è il penultimo paese Ue per quota di giovani laureati (25-34 anni). Siamo al 31,6% mentre l’Unione Europea ha posto la quota del 45% come obiettivo del 2030. L'obbiettivo è ancora lontano (e per alcune province, anche lombarde, il dato è addirittura in calo). Grave anche la differenza territoriale: solo Milano, Bologna e Trieste hanno raggiunto l’obiettivo del 45%, mentre in fondo troviamo Siracusa e Foggia (intorno al 15 - 16%). Un dato terribile. (Dati Openpolis www.openpolis.it)

Buone notizie: la povertà assoluta nel mondo va molto meglio 28 agosto 2025

Questo grafico molto interessante di econovisuals mostra l'evoluzione delle esportazioni a livello globale negli ultimi 75 anni. L'Occidente ha visto la sua quota ridursi, mentre l'Oriente è cresciuto, fino a pareggiare nel 2024. Negli stessi anni miliardi di persone sono uscite dalla povertà. Povertà assoluta = vivere con meno di 2,15 $ al giorno (PPP, dollari 2017). Andamento globale (1950–2024) Anni 1950 La popolazione mondiale era ~2,5 miliardi. Oltre il 60–65% viveva in povertà estrema → circa 1,5–1,6 miliardi di persone. Anni 1980 Popolazione ~4,4 miliardi. Povertà estrema ancora molto diffusa (circa 40–45%) → 1,8–2 miliardi di persone. 🇨🇳🔝🚀Qui inizia il boom di riduzione grazie a Cina, India e altre economie emergenti. Anni 2000 Popolazione ~6 miliardi. La quota scende sotto il 30% → ~1,7 miliardi in povertà estrema. 2015 circa Per la prima volta meno di 10% della popolazione mondiale → ~700 milioni. 2024 Popolazione mondiale ~8,1 miliardi. Persone in povertà estrema stimate: 650–700 milioni (dato 2022, leggermente peggiorato per Covid e guerre). Quante persone sono uscite dalla povertà assoluta (1950–2024)? 1950: ~1,5–1,6 miliardi poveri estremi. 2024: ~0,65–0,7 miliardi poveri estremi. Differenza = circa 900 milioni – 1 miliardo di persone uscite dalla povertà assoluta. ⚠️ Nota: Il numero reale “cumulato” è ancora maggiore, perché nel frattempo la popolazione mondiale è più che triplicata. Senza crescita economica, oggi avremmo avuto forse 4–5 miliardi di poveri; invece ne abbiamo meno di 700 milioni. Quindi in senso “netto” sono usciti ~1 miliardo, ma in senso “ipotetico” lo sviluppo ha evitato la povertà a 3–4 miliardi di persone.