martedì 7 ottobre 2025

Riforma della giustizia

Luigi Marattin ci offre un ottimo "recupero di memoria" sulla riforma "Pisapia-Vassalli" del 1988 rimasta incompiuta. Utile ripasso, che tra qualche mese, forse, ci potrebbe essere il referendum. La separazione delle carriere dei magistrati era prevista già nel 1988, quando in Italia ci fu la riforma del codice di procedura penale: si passò da modello “inquisitorio” - quello in cui il giudice è parte attiva nelle indagini - a modello “accusatorio”, in cui il giudice è terzo. Una riforma, tra l’altro, approvata in maniera trasversale da tutte le forze politiche. Prevedere due percorsi di carriera autonomi e indipendenti, quindi, per pubblici ministeri e giudici era la naturale conseguenza di quella riforma del 1988: se facevano mestieri diversi, era normale che avessero percorsi di carriera diversi. Sempre salvaguardando la sacra indipendenza del potere giudiziario dagli altri due (esecutivo e legislativo). In quegli anni non si registravano particolari contrarietà a questa mossa: sono note le opinioni di Giovanni Falcone in merito, così come di tantissimi altri. E anche sul piano politico non c’erano problemi : il progetto di riforma costituzionale bipartisan elaborato dalla Commissione Bicamerale negli Anni Novanta (quella presieduta da Massimo D’Alema) prevedeva la separazione delle carriere. La sinistra, infatti, non aveva mai avuto particolari dubbi in proposito. Poi qualcosa è cambiato. Cosa? Il potere giudiziario è stata ricompreso a pieno titolo nell’alveo della lotta politica. Man mano che gli altri due poteri (esecutivo e legislativo) perdevano progressivamente competenza e autorevolezza - demoliti da una politica che si stava trasformando in televendita fatta di partiti personali e adoranti yes-men o yes-women - il terzo potere dello Stato (quello giudiziario) volente o nolente ha iniziato a riempire quel vuoto. Spesso aiutato dall’intreccio con parte di quello che viene definito “quarto potere”: l’informazione. O dallo stesso potere politico, che avendo accettato la propria subalternità si affidava allo strumento giudiziario (coadiuvato dalla grancassa dell’informazione) per indebolire o eliminare l’avversario politico. E a quel punto, tutto è precipitato. Ogni azione di riforma del potere giudiziario - anche se largamente prevista come la separazione delle carriere - non è stata più vista come modalità di affinare la fornitura di un bene pubblico fondamentale (la giustizia), ma come parte di una lotta di potere. Come se ne esce? Il primo passo per risolvere i problemi è sempre riconoscerli. Quanto sarebbe diverso questo Paese se, almeno, avessimo il coraggio di dirci chiaramente - e in maniera condivisa - che cosa è successo realmente in questo paese.

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